Disciplinare maschere tipiche. I panni sporchi si lavano in casa

Disciplinare maschere tipiche. I panni sporchi si lavano in casa

Nello scorso consiglio comunale, tenutosi il 4 Dicembre 2014, l’amministrazione comunale ha approvato a maggioranza il disciplinare delle maschere tipiche del carnevale di Satriano. Il documento è talmente vergognoso che, per il momento, abbiamo deciso di non far trapelare la notizia fuori dai confini paesani perchè potrebbe ledere in maniera irreparabile all’immagine che il Carnevale di Satriano, e in particolar modo la maschera del Rumit, ha acquisito negli ultimi due anni. I panni sporchi si lavano in casa!

Il nostro capogruppo Rocco Perrone ha letto, e allegato ai lavori del consiglio, una memoria nella quale spiega perchè è sbagliato fare un regolamento del Carnevale.

OGGETTO: intervento di Rocco Perrone durante il consiglio comunale del 4 Dicembre 2014 relativo al punto 6 dell’ordine del giorno: valorizzazione patrimonio culturale comunale – Disciplinare sull’uso delle maschere tipiche del carnevale satrianese

Vorrei iniziare con il sapere chi è l’autore di questo capolavoro?

Sindaco, chi l’ha scritto? Il (non) assessore alla Cultura?

Lo chiedo, voglio saperlo e voglio che si sappia perchè è importante lasciare alla Storia testimonianza delle proprie opere, far sapere ai posteri chi è l’artefice di cotanta magnificenza.

Prima di analizzare il documento punto per punto, vorrei fare una premessa, spiegando che cosa gli antropologi, non Rocco Perrone o un qualunque (non) assessore alla Cultura, pensino sia la tradizione:

Articolo “La retorica della tradizione” di Lucia Galasso, antropologa già direttore scientifico del Museo della Civiltà contadina e dell’Ulivo di Pastena, Segretario nazionale di Antrocom Onlus (un’associazione di ricerca antropologica)

Ma cos’è la tradizione prima di tutto?

È principalmente legata al tramandare una cultura da una generazione all’altra lasciando che parte del passato viva nel presente. Un confortante passaggio di consegne che preserva, nel tempo, l’identità collettiva.

Della tradizione si ha però una visione abbastanza stereotipata, come di un qualcosa che non muta nel tempo, ma rimane stabile, granitico, inossidabile. L’antropologia ne ha combattuto queste immagine che la vede al di fuori della storia, e quindi non soggetta a vicende, esperienze, incontri, cambiamenti, invenzioni, aggiustamenti come di fatto accade.

La storia dell’uomo é fatta di incontri, scambi, meticciati culturali, che nel tempo trasformano la tradizione attraverso l’innovazione. Nessuna cultura è chiusa in se stessa, impermeabile alla storia, o come dice Marshall Sahlins “Nessuna comunità è fuori dalla storia”. Le società e le culture non sono statiche: sono in continuo movimento. Tuttavia sono tese nel tentativo di apparire statiche. Esse tentano, attraverso le istituzioni di assorbire il flusso storico e di compensare la funzione di altre istituzioni tese in direzione del cambiamento. E’ così che sopravvive l’identità, che non è altro che una rimozione della storia, come ci ricorda Ugo Fabietti.

Il problema a cui oggi assistiamo è dovuto a quello che il grande storico francese Marc Bloch ha definito “l’idolo delle origini”, ovvero la tendenza a spiegare il più recente mediante il più remoto. In antropologia questa è chiamata retorica dell’autenticità e vale in ogni campo.

Quale è il meccanismo dietro questo processo?

Si tende a pensare che nelle culture vi sia qualcosa di originario, di peculiare, di autentico da recuperare e valorizzare. Una reazione che nasce in risposta alla globalizzazione, all’uniformità dei costumi e dei consumi, che genera una nostalgia delle radici; l’ansia di ritrovare ciò che si pensa incarni lo spirito autentico o originario di una cultura.

Tutto ciò il più delle volte si traduce in una decontestualizzazione di pochi elementi culturali (il più delle volte anche iper-folklorizzati. Un esempio? Le sagre), spogliandoli di quel simbolismo che dava loro fondatezza e significato. E’ la vittoria del simbolo vuoto, luogo d’elezione di un marketing senza anima (non a caso le società industriali moderne sono grandi produttrici di ”autenticità”). Siamo in pieno Neotradizionalismo, dove il consumo dell’autentico è un processo di invenzione della tradizione, che serve a surrogare la memoria, elaborando un passato immaginario.

[...]

Ecco, se devo pensare alla tradizione non mi vengono in mente tanto concetti come “territorio” e “prodotto tipico” (per citare i più frequenti) quanto piuttosto ”“relazione, “comunità” e “cooperazione”. E’ attraverso questi che si riscatta il passato che, nella famiglia, nella comunità trovano profonde ragioni logiche e affettive.

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Andiamo ad analizzare il documento punto per punto.

Pagina 1.

Si legge <<Il comune di Satriano può vantare un patrimonio storico artistico culturale di grande interesse… e che un ruolo fondamentale in tal senso lo riveste il Carnevale di Satriano>>.

Ci fa piacere leggere queste parole, non scontate, ci fa piacere che l’amministrazione si stia preoccupando di <<tutelare e valorizzare l’identità e il patrimonio materiale e immateriale della propria comunità>>.

Nell’ambito delle ritualità contemporanee (patrimonio culturale immateriale) all’obiettivo della “tutela”, citato nel disciplinare, si è voluto sostituire nella Convenzione Unesco del 2003 (fondata sul concetto antropologico di cultura e tesa a prendere le distanze dal paradigma-storico-artistico e antiquario della tutela) l’obiettivo della “salvaguardia”di quella stessa vitalità che rende “autentici” in senso antropologico gli eventi culturali, proprio per dare risalto al carattere dinamico, trasformativo, partecipato e processuale della cultura e delle sue espressioni simboliche, le tradizioni.

L’articolo due della convenzione UNESCO del 2003 recita:

Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è

costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla

loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di

continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la

creatività umana”

“Per “salvaguardia” s’intendono le misure volte a garantire la vitalità del

patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l’identificazione, la documentazione,

la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la

trasmissione, in particolare attraverso un’educazione formale e informale, come

pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale”.

Andiamo nei dettagli.

Sempre a pagina 1 si legge:<<che le maschere del Carnevale sono l’espressione di una condizione di vita di stenti e di umiliazioni che nel corso dei tempi il nostro territorio ha vissuto. Esse sono maschere povere, portatrici di antichi sistemi di credenze magiche-religiose derivanti da preoccupazioni economiche per mancanza di vivere e di situazioni avverse da affrontare>>.

Questa frase, corroborata da studi antropologici che evidentemente non ci sono, potrebbe avere una valenza solo se espressa con la forma verbale al passato! Nel 2014 i satrianesi non si vestono da Rumit, Orsi e Quaresime perchè vivono <<una vita di stenti e umiliazioni>> o perchè <<le maschere sono portatrici di antichi sistemi di credenze magiche-religiose>>.

Si legge: <<Non sono maschere di allegria ma rappresentano insieme una forma di ribellione, rassegnazione e speranza di vita>>. Questa probabilmente è la punta di diamante. Stiamo discutendo in consiglio comunale l’opinione, e nulla di più, dell’autore di questo capolavoro.

Si legge che il disciplinare si rende necessario: <<per mantenere le caratteristiche stesse delle maschere tipiche>>, capite bene, alla luce di quanto letto in precendenza, che è una frase che non ha alcun valore? Che non si può fissare una volta per tutte quali siano i caratteri di una tradizione proprio perchè per essere tale deve rinnovarsi altrimenti diventa semplicemente una vuota rappresentazione destinata, anziché al periodico confronto ritualizzato tra membri della comunità che collabora alla coesione, al confronto e al rinnovamento sociali, semplicemente alla spettacolarizzazione.

A pagina 2, c’è scritto quello che l’autore del disciplinare pensa siano e rappresentino le maschere tipiche di Satriano. Questa è, probabilmente, solo una delle interpretazioni che nel corso dei decenni i Satrianesi hanno dato alle maschere, di sicuro non è l’interpretazione che ne danno nel 2014!

La grande valenza del nostro carnevale è che è vivo! I satrianesi stanno dando nuovi significati alle maschere, i loro significati, non quelli del 1950 o del 1980. Rappresentiamo un unicum a livello regionale e forse nazionale, ed è probabilmente per questo che l’anno scorso un’antropologa dell’UNIBAS, Sandra Ferracuti, si è trasferita qui un mese per studiare il Carnevale di Satriano del 2014, non quello del 1910!

Nel corso dei decenni l’interpretazione che le varie generazioni hanno dato al Rumit sono cambiate. Chi l’ha visto prima della seconda guerra mondiale ci racconta che il Rumit era uno spirito francescano, un eremita appunto, una persona che viveva ai margini del paese e che dopo un inverno rigido usciva dai boschi per fare la carità. In seguito le vicende dell’emigrazione hanno accostato questa figura al satrianese che non ha avuto né la voglia né la possibilità di lasciare la Basilicata e che rimasto in una situazione di assoluta indigenza girava per le strade del paese e delle contrade, vestito di edera per rimanere anonimo, alla ricerca di qualcosa da mangiare per affrontare con forza e vigore la primavera. Ora c’è una nuova interpretazione che nasce dalla visione di Michelangelo Frammrtino e della sua cine-installazione “Alberi”. Perchè non è presente nella descrizione delle maschere? Come si fa a tenerla fuori? Come si fanno a tenere fuori tutte le interpretazioni che ogni singolo satrianese ha dato nel vestirsi da Rumit, Orso e Quaresime nel corso degli anni?

Non mi dilungo nell’analizzare le descrizioni delle altre maschere. Ribadisco che è la descrizione che ne fa una singola persona che in questo momento storico ha il potere di presentarla in consiglio comunale e di farla approvare, niente di più, non ha nessuna valenza scientifica e antropologica.

Tra l’antro, anche dal punto di vista, che non condividiamo, espresso dall’autore del disciplinare, il documento presenta importanti omissioni, ne cito solo una: non c’è scritto che il Rumit con la sua visita lascia un buon auspicio a chi gli apre la porta e gli dona qualcosa in cambio, il (non) assessore ha dimenticato di inserire questo tratto “autentico”, “identitario”,”tradizionale”?

A pagina 4 si legge che <<una delle difficoltà che nel percorso di previsioni di forma di tutela si può riscontrare è la ricernca di una possibile convivenza tra l’elemento principe del carnevale che è il carattere della spontaneità di chi vi partecipa>> (e ci meravigliamo di tanta accortezza!)<< e la ncessità di non asseoggettare al “Libero arbitrio” l’uso delle maschere tipiche del nostro carnevale>>. Un ossimoro perfetto, e non è l’unico presente in questo testo! Con questo regolamento si sta palesemente tentando di <<assoggettare>> l’utilizzo delle maschere al libero arbitrio di chi l’ha scritto. E’ ridicolo!

Prima di passare all’ultima parte veniamo ad alcune considerazioni.

Il sindaco in una riunione con il coordinamento del carnevale di Satriano aveva garantito che questo disciplinare sarebbe stato scritto insieme, in maniera collaborativa. Invece abbiamo avuto la sorpresa di trovarcelo dentro l’ordine del giorno del consiglio comunale.

Leggo anche la mail di Vincenzo Spera in risposta a una mia missiva che lo informava delle vostre scellerate intenzioni. Ovviamente do’ per scontato che voi (mi riferisco ai consiglieri comunali di Pietrafesa Futura) sappiate chi sia Vincenzo Spera e abbiate letto quanto ha scritto sul nostro Carnevale.

<<Gentile Dott. Rocco Perrone.
Ha ragione lei. Unica attenzione deve essere rivolta ad evitare
l’eccessiva articolazione e arricchimento di fronzoli della maschera del
”Rumit”, che deve essere realizzata solo con tralci di edera. Inoltre deve
esserci la presenza di un bastone con alla punta legato un ciuffo di
pungitopo. Tutto quanto vada oltre queste due semplici indicazioni, non
riguarda questa maschera. [...]
Quello che vuole l’amministrazione è una sorta di costituzione formalizzata della
”maschere locale”, il che potrebbe causare il congelamento che accelererebbe la fine della maschera del Rumit e dell’Orso.
 Buon lavoro, anche se la vedo dura per lei>>.

Qualche tempo dopo questa mail ho chiesto al professore l’autorizzazione per poter pubblicare il contenuto della sua prima mail, il 3 Dicembre ecco cosa mi ha risposto:

<<Gentile  dr. Rocco Perrone,

Grazie della comunicazione. certamente può utilizzare il brano che mi ha

segnalato.

Dica anche che agire in forma costrittiva e normativa, come nel caso del

disciplinare, sulle azioni e manifestazioni di Carnevale, comporta sempre

un forma di irrigidimento che è controproducente sul significato e sul

carattere principale di ogni forma di manifestazione libera, in cui tutti

hanno il diritto di esprimersi, anche trasformando la tradizione; creando,

così – come è sempre accaduto – le basi di quello che diventerà, se

radicato e accettato dalla comunità che la esprime, “tradizione ” .

La cultura popolare ha sempre mantenuto ampi margini di libertà creativa,

contemporaneamente ad ampi margini conservativi. Dalla compromissione

(storica e contestuale) di queste due tendenze deriva ciò che noi, con

poca precisione, indichiamo ancora come “tradizione”.

Se il Comune, o chi per lui, vuol veramente aiutare il mantenimento del

Carnevale di Satriano deve solo favorirne la libera espressione e

sostenere il tutto con oculate operazioni di sostegno e, comunque, tenersi

in disparte.

In bocca al lupo per la sua difficile battaglia. Glielo dico io che sono

nato e vissuto a Matera, la cui famiglia è originaria di Tito; motivo per

cui mi sento legittimamente molto vicino a quanto accade anche a Satriano

e che del Carnevale dell’Orso e del Rumit’ è stato il primo a pubblicarne

notizia e documentazione.

Cordiali saluti.

Vincenzo Spera>>

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Articolo 6 recita: <<non è consentito utilizzare immagini relativi alle maschere tipiche o a rimandi ad esse per scopi commerciali>>. Immaginate un giornalista fotografo che viene al nostro carnevale, fa un reportage e lo vende a una rivista, secondo questo regolamento non potrebbe farlo!

Il coordinamento organizzativo del carnevale di Satriano, rappresentato dall’associazione Al Parco, si era posto in una posizione aperta e collaborativa inserendo, come dovuto, il logo del Comune nella prima locandinda, e specificando il patrocinio nel primo comunicato stampa. Ha organizzato un incontro invitando tutte, sottolineo tutte, le associazioni del paese per chiedere collaborazione nell’organizzazione. Questo documento, al di là delle fandonie scritte, è sbagliato per come è stato prodotto, senza la minima condivisione con la Comunità di eredità, cioè con chi organizza, ha organizzato, partecipa, ha partecipato, al carnevale!

Un documento del genere per avere una minima valenza dovrebbe essere redatto insieme a tutti i personaggi che in qualche modo hanno condizionato, condizionano e condizioneranno il Carnevale di Satriano. Nessun singolo si può arrogare il diritto di farlo per tutti e una volta per tutte.

Siamo daccordo sul fatto che l’organizzazione del Carnevale e le cosiddette uscite pubbliche vadano coordinate con l’amministrazione il cui ruolo è quello di cercare di fornire assistenza organizzativa ed economica. Altra cosa è chiedere l’autorizzazione al sindaco.

Il gruppo consiliare Satriano 2050 si oppone all’idea della “tutela”, che è un obiettivo conservatore che si esprime in tutto il documento, promuovendo invece il concetto di “salvaguardia”, che è finalizzata a fornire strumenti aggiuntivi alle comunità, non a vincolarne la creatività culturale.

Il gruppo consiliare Satriano 2050 rigetta il disciplinare e propone invece un dialogo pubblico organizzato, un seminario di dibattito e formazione con esperti della legislazione internazionale sul patrimonio culturale e antropologi, che coinvolga tutta la comunità.

Per quanto detto e letto io, personalmente, non chiederò mai il permesso a nessuno per vestirmi da Rumit in qualsiasi parte del Mondo e per qualsiasi evento. E sono sicuro e mi auguro che mai nessun satrianese lo farà!

Questo documento non ha nessuna valenza scientifica, antropologica e giuridica.

Questo documento non verrà rispettato dai satrianesi perchè nemmeno loro sanno come modificherà in carnevale nei prossimi anni.

Questo documento è carta straccia!

Rocco Perrone

4 Dicembre 2014, Satriano di Lucania         


ALLEGATI, documenti di riferimento (facciamo anche un po’ formazione gratuita…)

16 dicembre 2014 / IN EVIDENZA, News / Tags: